Nell’Armonia

Nell’Armonia del Passato l’Utopia del Presente*

Dopo quasi un secolo nel quale l’arte visiva ha messo in discussione le tradizionali forme della rappresentazione e ha nascosto la figura umana annullandola in un gesto, in un concetto o in un simbolo attraverso le varie declinazioni dell’arte aniconica, le opere della scultrice Enrica Adorni sembrano volere ritornare alle origini classiche  tramite una moderna forma di dialogo tra passato e presente.
La sua recente mostra personale alla Pinacoteca Stuard e la partecipazione a numerose collettive a Parma ad esempio alla prima edizione della “Notte dei Borghi” e alla Quadriennale Roma Art 2009, tenuta all’Ambasciata della Repubblica Araba d’Egitto a Roma, hanno destato interesse nei confronti delle sue opere e di questo ritorno al classico e al figurativismo.
Proprio per comprendere le ragioni di queste scelte ‘controcorrente’, che la tengono lontana da ogni inquadramento in movimenti più propriamente di ‘tendenza’, l’abbiamo incontrata per conoscere come nascono le sue sculture e quali sono i suoi modelli di riferimento. Il suo è un discorso che parte da lontano, che trova le sue radici nella grande passione per la letteratura e l’arte greca che tanto la facevano sognare ai tempi del liceo.
“Nel mondo greco” ricorda l’artista “il modello compositivo, il canone estetico era contraddistinto dalla ricerca di una purezza formale e da un’eleganza di proporzioni che trovava il proprio corrispettivo nella nobiltà e nell’eccellenza dei contenuti, nel contesto morale della società che le aveva prodotte o ispirate”.  
Un’irripetibile armonia di forme capace di riflettere -attraverso la bellezza dei corpi e l’eleganza del loro movimento- anche una ricchezza interiore. Come la definì Winckelmann  l’arte greca è capace di  “nobile semplicità e quieta grandezza”.
Così la scultrice, con la curiosità e la passione di un’archeologa, sceglie i suoi personaggi proprio dall’antichità dando loro sembianze di reperti di scavo, cercando di imprimere alle forme l’armonia del passato come utopia del presente.
Quasi a sfida di una cultura -la nostra- dominata dal consumismo e dalla mercificazione, in cui gli uomini e le donne più che dai loro volti, dalle loro azioni o dai loro pensieri, s’identificano per ciò che posseggono o per gli oggetti che utilizzano, la scultrice ci ripropone l’immagine di un uomo Kalòs kai Agathòs  (bello e buono), e ci suggerisce una via per un ritorno ai  valori che animavano la più grande forma di Civiltà: quella Greca.

Adorni-bologna

La sua scultura  non vuole però cadere in una forma sterile di recupero di elementi formali del passato, né intende significare un mero esercizio d’imitazione di un’arte passata, seppur perfetta, come in certi casi è accaduto in epoca neoclassica. La sua scelta stilistica invece, frutto di un amore incondizionato per la cultura classica greca, risulta il tramite più idoneo per giungere al suo principale obbiettivo artistico.  La scultura, infatti rappresenta per Enrica Adorni “una meravigliosa occasione per cimentarsi con l’impossibile dove l’impossibile consiste nell’animare una materia inerte.
Plasmare la materia per imprimervi l’espressione di un volto o per dare movimento a un corpo, equivale al mistero della creazione di una nuova vita”. In questo modo la scultura diventa strumento per raggiungere la sublimazione della realtà.
L’idea della sua scultura nasce dunque dall’esigenza di animare la materia nel realismo di un volto o nella profondità di uno sguardo: quasi il desiderio di ricreare l’uomo dandogli un’anima e una storia, entrambe da leggere attraverso l’espressione del viso, dal movimento impresso alla immobile staticità della materia. E così nella “galleria “ delle sue opere che vestono i panni di ninfe, di semidei, di leggendari guerrieri, di giovani e mitiche regine, di principesse divenute schiave per mala sorte, ritroviamo le espressioni dell’uomo e della donna di oggi, ne riscontriamo i medesimi atteggiamenti, ne“compatiamo” – nel senso letterale del termine – il loro stato d’animo. Così ogni suo lavoro sottende una storia, ogni statua è una sua creatura, pensata e studiata, alla quale ha trasferito un’anima, una vita propria, un respiro. E ogni sua opera nasce con l’intento di emozionare l’osservatore, di dialogare con lui attraverso il linguaggio delle espressioni, di confrontarsi con le sue sensazioni.
Sono opere d’immediata lettura sia stilistica sia psicologica: la scultrice le definisce “semplici”. La seguiamo nella sua casa, mentre ci parla delle sue “creature”, a una a una. Sono esposte nelle varie stanze, quasi in modo casuale, disseminate tra gli oggetti della casa, in mezzo ai libri, perfino dentro gli armadi. E così ci racconta la storia di ognuna, senza smettere di accarezzarne la testa, le linee del volto, perché, afferma, “è irresistibile il desiderio di contatto con loro, e ogni volta si ha la sensazione di toccare una persona reale. Tutte le statue andrebbero toccate perché l’occhio -da solo- non rende giustizia a quella magia che è la materia trasformata in un’entità tridimensionale, che è reale, che occupa un vero spazio sotto il nostro cielo. La scultura, diversamente dalla pittura, non usa artifizi o stratagemmi per ingannare l’occhio, costringendolo a immaginare un mondo che non c’è: la scultura è un processo forse più primitivo, sicuramente più immediato, che colpisce maggiormente le nostre percezioni spazio-temporali, che trasmette sensazioni più forti”.  Fra tutte le sue opere, la scultrice si sofferma sul volto di un guerriero. Leonida, re degli Spartani, famoso per avere tenuto in scacco – con un manipolo di soli trecento soldati scelti- la infinita orda di Persiani, sacrificando la sua vita e quella dei suoi uomini in nome della libertà. Il suo volto è sereno e composto, il suo sguardo è determinato, intenso, lo circonda un alone di forza e trasmette un senso di potenza.
A Enrica piace ricordare, parlando di lui, che la genesi di questa creatura coincise con l’inizio della malattia di suo padre e terminò dopo pochi mesi a seguito della sua morte. Pertanto in quest’opera ha tradotto tutti gli stati d’animo provati da lei in quei giorni: il tormento della certezza della fine, la speranza dell’impossibile nell’ingaggiare una battaglia persa in partenza, l’accettazione della morte in nome della vita che comunque ad ogni costo deve procedere. Le opere da lei plasmate in creta, diventano i modelli per le fusioni di bronzo e alluminio. Sono plasmate con una tecnica – che molto si avvicina alle regole valide per la scultura in pietra: anziché aggiungere via via materiale da plasmare, Enrica parte da un grande blocco unico di creta cruda togliendo materia, in modo che la figura da ritrarre esca fisicamente da quest’agglomerato che la contiene un’operazione che, aggiunge, racchiude ogni volta un ché di rituale e di magico, pur restando la fase realmente più complessa dal punto di vista esecutivo”.

* Bruno Zoppi, Enrica Adorni. Nell’Armonia del Passato l’Utopia del Presente, CORRIERE DI PARMA,  Anno XXVII N°2  Inverno, Parma 2009.